
di Armando Borrelli
Prima del tanto atteso trasferimento di Kylian Mbappé al Real Madrid, il mondo del calcio era in fermento per l’eccitazione, ma anche con una sottile corrente di apprensione tattica. Per gli osservatori di lunga data del calcio d’élite, le preoccupazioni andavano oltre la semplice acquisizione di una superstar, con domande non tanto sulla qualità della superstar francese, ma piuttosto su se e come il suo profilo si sarebbe riuscito ad integrare in un attacco già costellato di stelle, come Jude Bellingham e Vinicius Jr.
Le analisi, formulate quasi un anno prima dal sottoscritto, indicavano chiare evidenze che integrare un giocatore con le specifiche caratteristiche di Mbappé – la sua preferenza per la fascia sinistra, la sua meno che zelante etica difensiva e il suo desiderio di essere il fulcro dell’attacco – in un sistema che aveva appena raggiunto un immenso successo con una linea offensiva fluida e difensivamente diligente, poteva essere intrinsecamente difficile. Non si trattava di una previsione alla Nostradamus, ma di un’inferenza logica basata su principi tattici e caratteristiche dei giocatori.
La stagione 2024-2025 ha, a posteriori, convalidato in modo netto queste preoccupazioni. Ciò che è accaduto è stato un affascinante paradosso: la partenza di Mbappé non ha indebolito il Paris Saint-Germain; al contrario, lo ha liberato. D’altra parte, il suo arrivo al Real Madrid, lungi dall’essere il pezzo finale del puzzle Galáctico, ha introdotto uno squilibrio tattico che alla fine ha ostacolato le loro aspirazioni collettive. L’arrivo di Luis Enrique al Paris Saint-Germain, unito alla partenza di Mbappé, ha segnato un profondo cambiamento tattico. L’allenatore spagnolo, rinomato per la sua enfasi sul gioco collettivo, il pressing alto e la fluidità posizionale, ha trovato la “quadratura” che era sfuggita ai parisiens per anni.
Il PSG ha operato principalmente con una struttura 4-3-3, ma la loro struttura offensiva era estremamente fluida. Hanno attaccato spesso le zone laterali, attirando gli esterni bassi avversari, il che ha poi creato spazi più ampi per giocatori come Doué e Kvaratskhelia – arrivato a gennaio ad alzare ancor di più il livello – da sfruttare portando palla in avanti. Questo movimento costante e la rotazione posizionale li hanno resi incredibilmente difficili da marcare e prevedere.
In modo cruciale, la squadra ha operato frequentemente senza un centravanti definito, lasciando i difensori centrali avversari (vedasi, ad esempio, Acerbi dell’Inter in finale) senza un marcatore specifico. Questo ha creato un “giocatore libero” a centrocampo o in attacco, permettendo al PSG di giocare lontano dalla pressione e dominare il possesso palla nella metà campo avversaria. Dembélé, in particolare, plasmato dal tecnico spagnolo anche dal punto di vista caratteriale, ha dimostrato una notevole versatilità, muovendosi in varie aree per supportare l’attacco, a volte sulla sinistra, a volte abbassandosi.
Il trio di centrocampo è stato altresì fondamentale: gestione del ritmo, rottura delle linee e adattamento dei propri movimenti per supportare sia i giocatori esterni che gli inserimenti dalle posizioni più arretrate, con la loro capacità di dominare la palla e creare spazio che è stata importantissima parte del loro successo.
Il culmine della visione tattica di Luis Enrique è stata la corsa dominante del PSG verso il suo primo titolo in UEFA Champions League, con apoteosi massima nella finale vinta con un netto 5-0 sull’Inter per 5-0 in finale: non una semplice vittoria, ma un completo smantellamento tattico di una delle migliori squadre europee. Come detto, invece la stagione del Real Madrid è stata oscurata dalla fatica di integrare i suoi tre titani d’attacco: Mbappé, Bellingham e Vinicius Jr. Il piano iniziale prevedeva Mbappé come numero 9, affiancato da Vinicius e Rodrygo, con Bellingham che tornava a un ruolo di centrocampo più tradizionale, dopo il suo successo come trequartista. Questo allineamento teorico, tuttavia, ha rapidamente rivelato profonde sfide pratiche.
Sebbene Mbappé abbia avuto una stagione individualmente fenomenale con 43 gol (battendo record di club per una stagione d’esordio e segnando in sei diverse competizioni), la sua integrazione tattica è stata problematica. Ha continuato a spostarsi sulla fascia sinistra, la sua posizione preferita, piuttosto che operare costantemente come un tradizionale attaccante centrale. Gli sono mancate anche le corse istintive o il gioco di sponda atteso da un numero 9, che sono cruciali per un attaccante centrale. Ancora più criticamente, la sua riluttanza a lavorare duramente senza palla e a ripiegare ha iniziato a contagiare alcuni dei suoi compagni di squadra di alto profilo, portando a una notevole mancanza di coerenza difensiva, con la squadra che si trovava frequentemente in inferiorità numerica senza palla. Bellingham, che aveva avuto una stagione d’esordio eccezionale, è stato spinto in un ruolo di centrocampo più profondo e secondario per accomodare la presenza offensiva del nuovo compagno. Questo spostamento lo ha portato ad essere quasi “perso in campo”, in particolare nelle fasi offensive, con segni visibili di frustrazione e spesso sembrando “invisibile ai suoi compagni di squadra”. Il tutto mentre Vinicius si concentrava sulla costruzione di una connessione con Mbappé, lasciando, conseguentemente, l’inglese in disparte e generando un “cortocircuito offensivo” che Xabi Alonso, il successore di Ancelotti, dovrà certamente affrontare con una certa urgenza, se vorrà ripristinare le partnership offensive e l’equilibrio.
E così difficoltà evidenti e prestazioni complessivamente deludenti della squadra, hanno portato a mettere in bacheca solo la Supercoppa Europea (contro l’Atalanta) e la Coppa Intercontinentale (battendo il Pachuca). Se dovessimo dunque dare una lettura finale a quello che è stato definito il trasferimento pià importante della stagione, sarebbe impossibile negare quanto segue: nel calcio moderno, che enfatizza sempre più il pressing alto, la fluidità posizionale e lo sforzo difensivo collettivo (come dimostrato dal successo del PSG sotto Luis Enrique), un giocatore che non si impegna pienamente in questi aspetti (la nota riluttanza difensiva di Mbappé e la tendenza a spostarsi da un ruolo centrale, per cercare le sue “zolle preferite”) può diventare un significativo freno tattico, con il modello tradizionale “Galáctico” che risulta essere meno efficace nel gioco altamente organizzato di oggi. Quali potrebbero essere però le prospettive a lungo termine? Il PSG pare essere entrato in una nuova era di fiducia, avendo finalmente raggiunto il suo ambito titolo di Champions League attraverso una chiara identità tattica. Il progetto di Luis Enrique appare solido, mentre il Real Madrid dovrà affrontare un periodo di significativa introspezione e potenziale ricostruzione, non solo per la partenza di Ancelotti e l’arrivo di Xabi Alonso.
La brillantezza individuale di Mbappé rimane un asset, ma la sfida principale sarà quella di integrarlo in un collettivo vincente senza sacrificare gli altri giocatori chiave e i loro punti di forza.
Molti avranno infatti sottovalutato che l’arrivo del calciatore francese non fosse solo motivo di una transazione tattica o finanziaria, ma un evento psicologico significativo per l’intera rosa, che avrebbe potuto, anche inavvertitamente, creare attriti interni, alterando certe dinamiche.
Riuscirà il Paris a continuare in questa scia vincente? Il Real ci smentirà trovando la giusta quadra? Non ci resta che prepararci e goderci la prossima stagione per conoscere la risposta!